Che cos'è l'essere di Parmenide:
spiegazione di un enigma filosofico






RECENSIONE DEL LIBRO “PARMENIDE PROFETA DELLA GLOBALIZZAZIONE?” DI ALBINO NOLLETTI

di Arnaldo Di Tommaso
Professore di Storia e Filosofia nei Licei

Il recente saggio di Albino Nolletti fa il suo ingresso nell’odierno panorama dell’ermeneutica parmenidea con l’intrigante titolo “Parmenide, profeta della globalizzazione?”, un titolo che, sia pure interrogativamente, accenna all’iperattualità di un pensatore da sempre e per antonomasia “inattuale”. Tanto inattuale da suscitare scandalo (e accusa di stravaganza, specie per la sua negazione del movimento) nei fisici di ogni tempo, e sconcerto anche in quei filosofi che pure lo riconobbero “padre”, “venerando e insieme terribile”, primo fra tutti Platone. Proprio quest’ ultimo avvertì la necessità di procedere nei suoi confronti a un ideale “parricidio”, al fine di esorcizzarne la paralizzante parola. Questa, nella paradossale e del tutto inedita forma di un oracolo logico, enuncia la “ben rotonda Verità”, che si sostanzia di un’affermazione - “l’essere è” - e di una perentoria esclusione – “il non essere non è”. Da esse, come da due assiomi generalissimi e incontrovertibili della ragione, con ferrea consequenzialità, vengono fatte discendere proprietà e caratteristiche sia del “mondo vero”, cioè della realtà come si offre agli occhi senza veli della Divinità, sia del “mondo apparente”, così come esso risulta dal punto di vista degli umani.
Opportunamente Nolletti rileva l’inaudito di una simile voce, nella quale per la prima volta risuonano, in tutta la loro stupefacente estensione, le parole decisive del pensiero occidentale: “Essere”, “Nulla”, “Verità” - logos divino che da quel momento diventa paradigma della razionalità umana, forza che “persuade” e costringe all’assenso con l’incontrovertibilità del discorso che esibisce. Il Popper in esergo all’opera in proposito afferma: “Ritengo che Parmenide sia stato il primo grande pensatore teoretico, il primo creatore di una teoria deduttiva: uno dei più grandi pensatori di tutti i tempi. Non solo costruì il primo sistema deduttivo, ma anche il più ambizioso, il più audace e il più incredibile sistema mai concepito: un sistema la cui validità logica era intuitivamente perfetta”. Questa autorevole acquisizione lascia però ancora nell’ombra il nucleo dinamico di un pensiero che, dice Nolletti, “…con un salto concettuale acrobatico e con un geniale cambiamento di prospettiva, astrae dal cosmo fisico il concetto di essere”.
Nell’orizzonte del pensiero greco pre-parmenideo sono infatti assenti (o indefiniti) sia il concetto di essere che quello (correlativo) di non essere. “Nel linguaggio degli Ioni, rileva il Vernant citato dal Nolletti, il reale si esprime ancora con un plurale, ‘tà ònta’, ‘le cose che esistono’…Al contrario in Parmenide per la prima volta l’Essere si esprime con un singolare ‘tò òn’: l’Essere in generale…”: straordinaria astrazione, con la quale Parmenide apre alla filosofia l’ambito di riflessione più profondo e più suo, quello ‘ontologico’. Esso è lo spazio della “ben salda Verità” che, decostruendo in radice il posticcio castello delle rappresentazioni e delle gerarchizzazioni storico-umane, mostra l’uguale, nuda ‘dignità’ (di “essere”) di ogni cosa che é. E su tale fondamento incrollabile nella sua universalità assicura la realtà tutta, sottraendola per sempre all’insidia nientificatrice e dissolutrice del non-essere cui la destinano “gli uomini dalla doppia testa”, “che nulla sanno”.
‘Salvare la realtà’ è ‘la missione di Parmenide’; in essa Nolletti indovina la molla segreta del suo filosofare: “Parmenide desidera che il mondo, lo straordinario mondo che ogni giorno gli mostra la propria apparente bellezza e le proprie contraddizioni, non finisca mai, non si dissolva nel nulla. Ma tutto ciò che nasce e muta è destinato a finire. Allora Parmenide sostiene che l’essere, ciò che esiste, non è nato, è sempre esistito, non può non essere, e non cambia, rimane sempre uguale a se stesso. Una motivazione, si direbbe oggi, da “intelligenza emozionale”, che contraddice la rappresentazione canonica di Parmenide teoreta distaccato e supremamente astratto.
Una volta individuatone il luogo sorgivo, si tratta per Nolletti di esaminare la dottrina, così come tramandata nel celebre poema “Sulla Natura”. Di esso, come è noto, ci sono pervenuti: il proemio, in cui è rappresentata l’ascesi dell’autore dalle “case della Notte” alla luce “della Divinità”; quasi integra la prima parte, dedicata all’esposizione della Verità “che non trema”; scarsi frammenti della seconda e conclusiva parte, nella quale la rivelazione divina investe il mondo dell’apparente “non essere” - della molteplicità delle cose divenienti e periture - abitato dagli uomini.
Per ragioni diverse - soprattutto la stratificazione dei riferimenti culturali e simbolici, la forma poetica (per sua natura polisemica e ‘aperta’), la frammentarietà dell’opera - l’interpretazione “autentica” (o solo condivisa) del Poema è risultata un’impresa davvero disperata. Gli studiosi, rileva Nolletti con Cerri, “confessano tutti unanimemente che il pensiero di Parmenide resta in ultima analisi un enigma irrisolto…Nonostante la vastità della bibliografia e il valore notevolissimo di molti interventi resta diffusa la sensazione inquietante che il segreto del Maestro di Elea non sia stato ancora svelato”. C’è chi ha addirittura parlato di “irrecuperabile enigma dell’origine” (Sini).
Cosa pensa Parmenide quando pensa l’Essere-Realtà come immobile, omogeneo, uno, spazialmente finito ma temporalmente eterno? E cosa pensa quando pensa l’essere e il pensiero come coestensivi (“tanto è l’essere quanto il pensare”)? Cosa pensa realmente quando pensa il mondo delle umane percezioni e opinioni (doxa) come non essere? E in che rapporto pensa questi “due mondi” fra loro e con gli innumerevoli nomi che costituiscono il linguaggio e insieme il variopinto mondo umano? Interrogativi sostanzialmente ancora aperti dopo venticinque secoli di investigazione. Di essi il “Parmenide, profeta della globalizzazione?” rappresenta una ripresa metodica, appassionata e (anche per questo) audace nel piglio ermeneutico e senza timori reverenziali di sorta. Ciò che l’autore mostra di avere sopra ogni cosa a cuore è l’attivazione di un personale, ben articolato dispositivo di avvicinamento alla figura del Maestro di Elea e al suo Poema, che lo ponga su un piano di autentico ascolto e di reale incontro. A tale scopo egli dà vita ad una intensa rivisitazione (tendenzialmente esaustiva) dei “luoghi” parmenidei: simbolici e culturali, ma anche geografici e persino, come già notato, psicologici. “Entrare nella testa di Parmenide” per carpirne finalmente il segreto (coniugando le metodiche della “comprensione” con quelle della “spiegazione”) é l’ambizioso progetto.
In questo itinerario Nolletti non trascura un essenziale attraversamento del martoriato territorio della storiografia, trovando significative, seppure parziali, convergenze con studiosi di primo piano: Reale, Ruggiu, Cerri ma specialmente con Karl Popper che, “primo fra tutti gli interpreti”, ha aperto la strada al “vero Parmenide”. Tuttavia egli riscontra limiti filologici nella traduzione di Popper, come, per un aspetto o per l’altro, in tutte le pur autorevoli versioni esistenti. Pertanto procede a una personale traduzione del Poema – criticamente avvertita ed elegante nella resa lessicale e linguistica.
Grazie a un motivato scavo filologico introduce nella vulgata parmenidea poche ma decisive varianti, sufficienti comunque a gettare una luce nuova sul suo controverso messaggio.
Le tre parti del Poema vengono analiticamente investigate e ripetutamente riaccostate e ricomposte
in una convergenza di ottiche (storiografica, filologica, filosofica, scientifica, psicologica) funzionale all’individuazione della “preoccupazione fondamentale” e dell’ispirazione unitaria. Ne scaturisce un assunto decisivo, ermeneutico e metodologico al tempo stesso: la chiave di volta dell’edificio speculativo parmenideo è il suo monismo assoluto. Ne deriva che per “capire Parmenide” e sciogliere l’ enigma dell’Essere bisogna leggere il suo Poema in rigorosa coerenza con tale principio.
Nella sua universalità astratta ma insieme anche concreta, l’Essere parmenideo totalizza ogni dimensione di Realtà. E’ allora non “sbagliata” ma unilaterale (e in questo senso inadeguata e inesatta) la prospettiva di quanti lo hanno interpretato ora in chiave “logica” ora in chiave “logico-ontologica” ora in chiave “metafisica” o ”teologica” o “cosmologica”: “Nella sua visione assolutamente unitaria Parmenide teorizza un Ente che è contemporaneamente: fisico-cosmologico: esso è tutto ciò che esiste nel cosmo, e quindi il cosmo stesso; metafisico: esso è la sostanza invisibile che “sta dietro” a tutte le singole apparenti “cose” che quotidianamente percepiamo, costituendole e permeandole; ontologico: è l’unico essere esistente è ‘ciò che è’, 'to on '; logico- concettuale: essendo l’unico ente esistente, è l’unico oggetto del pensiero; la mente riunifica l’essere che i sensi avevano erroneamente suddiviso in molteplici cose”.
Fuorviante quindi ogni dicotomia, ogni pur larvato dualismo: i “due” mondi - dell’Uno immobile e del molteplice in continuo divenire - non sono che due modi diversi di riguardare lo stesso Essere: nella luce divina della Ragione o nella diffrazione che ne operano l’occhio e le mutevoli opinioni umane. (“L’errore dei mortali”, osserva Reale “consiste nell’intendere l’Essere nel senso dell’apparire, mentre la via corretta, al contrario, intende l’apparire proprio nel senso e sullo sfondo dell’Essere stesso”).
La metafora dell’Essere è allora per Nolletti l’arcobaleno: “…Come la luce bianca del sole ci appare scissa nei colori dell’arcobaleno, così l’ “Essere”, l’ente unico e assoluto teorizzato da Parmenide, ci appare diviso nelle molteplici cose del mondo”.
Una soluzione non distante da quella proposta da Reale e, con maggiore radicalità, da L. Ruggiu (che pure perseguono strategicamente l’indebolimento del postulato monista parmenideo).
Nella parte conclusiva del libro, Nolletti pone l’accento sul “Parmenide profeta della globalizzazione?”, facendo notare la singolare, tendenziale analogia di struttura del mondo contemporaneo con l’ Essere parmenideo. Il processo globalizzatore, “con la continua osmosi di modelli e di stili di vita”, attenua o cancella le diversità, massifica e omologa. Spinto dalle interne dinamiche del Mercato e dell’evoluzione tecnologica, il nostro mondo sembra dunque avviarsi fatalmente verso l’indistinta omogeneità dello sferico Essere parmenideo
. Prospettiva certo non esaltante. Ma Parmenide potrebbe sempre rincuorarci ricordandoci che, dopo tutto, sono dèi gli abitatori dell’indifferenziato.




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